La fine del mondo

Camille Flammarion

(Traduttore: Paolina Mochi)

Copyright © 2018 by OPU


Io vidi poi un cielo nuovo e una terra nuova; perchè il primo cielo e la prima terra erano passati.

Apocalisse, XXI, 1.

Parte 1
Nel venticinquesimo secolo. Le teorie.

Capitolo 1 La minaccia celeste

«Impiaque aeternam timuerunt saecula noctem».

VIRGILIO, Georgiche, I, 468.

 

Il magnifico ponte di marmo che unisce la via di Rennes alla via del Louvre e che, fiancheggiato dalle statue dei saggi e dei filosofi celebri, costituisce una via monumentale di accesso al nuovo portico dell'Istituto, era letteralmente nero di gente. Una folla ondeggiante, più che camminare, sembrava rotolasse pei Lungo Senna, sboccando da tutte le strade e spingendosi verso il portico, invaso, da molto tempo, da un flutto tumultuante.

Mai nel passato, prima della costituzione degli Stati-Uniti d'Europa, nell'epoca barbara in cui la forza vinceva il diritto, in cui il militarismo governava l'umanità e l'infamia della guerra stritolava senza tregua la stoltissima umanità, mai, nei grandi moti rivoluzionari o nei giorni febbrili delle dichiarazioni di guerra mai le adiacenze della Camera dei rappresentanti del popolo, nè la piazza della Concordia avevano presentato uno spettacolo simile. Non si trattava di gruppi di fanatici, riuniti intorno a una bandiera, marcianti verso qualche conquista della spada, seguiti da frotte di curiosi e di disoccupati, «che andavano a vedere quel che succederebbe»: era tutta quanta la popolazione, composta di tutte le classi della società, indistintamente, sospesa alla decisione di un oracolo, nell'attesa febbrile del resultato di un calcolo che un astronomo celebre doveva render noto quel lunedì, alle tre, nella Seduta dell'Accademia delle Scienze. In mezzo alla trasformazione politica e sociale degli uomini e delle cose, l'Istituto di Francia durava ancora e ancora teneva in Europa la palma delle scienze, delle lettere e delle arti. Il centro della civiltà si era, però, spostato e il focolare del progresso splendeva allora nell'America del Nord, sulle rive del lago Michigan.

Siamo al venticinquesimo secolo.

Questo nuovo palazzo dell'Istituto, che alzava al cielo le sue terrazze e le sue cupole, era stato costruito alla fine del ventesimo secolo sulle rovine lasciate dalla grande rivoluzione sociale degli anarchici internazionali, che nel 1950 avevano fatto saltare in aria una parte della grande metropoli francese, come un tappo sopra un cratere.

La Domenica, alla vigilia del responso, dalla navicella di un pallone si sarebbe potuta vedere tutta Parigi, sparsa sui bastioni e sulle piazze pubbliche, camminar lentamente, come senza speranza, senza interessarsi più di nulla al mondo. Le aeronavi festose non solcavano più lo spazio colla loro abituale vivacità, gli aeroplani, gli aviatori, i pesci aerei, gli uccelli meccanici, gli elicótteri elettrici, le macchine volanti, tutto si era rallentato, quasi fermato. Le stazioni aeronautiche, in cima alle torri e agli edifizi, erano vuote e solitarie. La vita umana sembrava sospesa e l'inquietudine era dipinta su tutti i visi. Si attaccava discorso senza conoscersi, e sempre le stesse parole uscivano dalle labbra pallide e tremanti: «È proprio vero!… » La più spaventosa epidemia avrebbe agghiacciato meno i cuori, della predizione astronomica, così universalmente commentata, e avrebbe fatto meno vittime; già la mortalità cominciava a crescere, infatti, per una causa sconosciuta.

Ogni momento, ciascuno sentiva come un brivido elettrico di terrore.

Alcuni, volendo parere più energici e meno allarmati, lanciavano ogni tanto una parola di dubbio, o anche di speranza: «ci si può ingannare» oppure: «passerà da parte» o anche: «poi non sarà niente, ce la caveremo con la paura» o qualche altro palliativo del medesimo genere.

Ma l'aspettativa e l'incertezza sono, spesso, più terribili della stessa catastrofe. Un colpo brutale ci colpisce, una volta, e ci abbatte, più o meno; poi ci si risveglia, si prende il nostro partito, ci si rimette e si continua a vivere. Qui era l'ignoto, l'avvicinarsi d'un avvenimento inevitabile, misterioso, extra-terrestre e formidabile.

Bisognava morire di certo: ma come? Per urto, per schiacciamento, per calore incendiario, per l'infiammarsi del globo, per avvelenamento dell'atmosfera, per soffocazione? quale supplizio attendeva gli uomini? Minaccia più terribile della morte stessa! La nostra anima non può soffrire che fino a un certo limite; aver paura senza tregua, domandarsi ogni sera quello che ci aspetta l'indomani, è come soffrire mille morti.

E la Paura! La Paura che agghiaccia il sangue nelle arterie, che annichilisce gli animi, la Paura, spettro invisibile, da cui tutti gli animi, vacillanti, e pieni di raccapriccio, erano ossessionati.

Da un mese circa tutti gli affari commerciali erano fermi: da quindici giorni il Comitato degli Amministratori (che sostituiva la Camera e il Senato d'altri tempi) aveva sospese le sedute, poichè in queste la distrazione aveva raggiunto il colmo. Da otto giorni la Borsa era chiusa a Parigi, a Londra, a New-York, a Chicago, a Melbourne, a Liberty, a Pechino: a che scopo occuparsi d'affari, di politica interna o estera, di questioni di bilancio o di riforme, se il mondo stava per finire? Ah! la politica! Si ricordava neppure di averne mai fatta? I palloni erano sgonfiati. I tribunali stessi non avevano più cause in vista: non si commettono assassinii, quando si aspetta la fine del mondo. L'umanità non teneva più a niente: il suo cuore affrettava i battiti, pronto a fermarsi. Si vedevano dappertutto visi disfatti, facce pallide, rovinate dall'insonnia; solamente la civetteria femminile resisteva ancora, ma appena, in un modo superficiale, ingenuo, effimero, senza preoccupazione dell'indomani.

Ma, del resto, la situazione si presentava grave, quasi disperata, anche agli occhi dei più stoici. Mai, in tutta la storia dell'umanità, mai la razza di Adamo s'era trovata davanti a un tale pericolo; le minacce del cielo le ponevano innanzi, senza remissione, una questione di vita o di morte.

Ma rifacciamoci da principio.

Tre mesi circa prima del giorno in cui siamo, il Direttore dell'Osservatorio del monte Gaorisankar, aveva telefonato ai principali osservatorî del globo, e particolarmente a quello di Parigi, un dispaccio così concepito:

«Una cometa telescopica è stata scoperta questa notte fra 21h 16m 42s di ascensione diretta e 49° 53' 45" di declinazione boreale. Movimento diurno molto debole. La cometa è verdastra».

Non passavano mai dei mesi, senza che qualche cometa telescopica fosse scoperta e annunciata ai diversi osservatorî, specialmente dacchè vi avevano preso stanza astronomi valorosi: in Asia, sulle alte cime del Gaorisankar, del Dapsang e del Kintchindjinga; nell'America del Sud, sull'Aconcagua, l'Illampon e il Chimborazo, come anche in Africa, sul Kilima-N'djaro e in Europa, sull'Elbrouz e il Monte Bianco. Perciò quest'annunzio non aveva colpito gli astronomi, più di tutti gli altri dello stesso genere, che di abitudine si ricevevano. Un gran numero di osservatori aveva cercato la cometa nella posizione indicata e l'aveva seguita diligentemente.

Le «Ultime Notizie Astronomiche» ne avevano pubblicato le osservazioni e un matematico tedesco aveva calcolato una prima orbita provvisoria, con le effemeridi del movimento. Appena questa orbita e queste effemeridi furono pubblicate, un dotto giapponese fece un'osservazione molto curiosa. Secondo il calcolo, la cometa doveva discendere dalle altezze dell'infinito verso il Sole e venire a traversare il piano dell'eclittica circa il 20 luglio, in un punto poco lontano da quello in cui doveva trovarsi la terra in quell'epoca.

«Sarebbe – egli diceva – del più alto interesse moltiplicare le osservazioni e riprendere il calcolo, per concludere a quale distanza la cometa passerà dal nostro pianeta e se, per caso, non verrà ad urtare la Terra o la Luna».

Una giovane laureata dell'Istituto, candidata alla direzione dell'Osservatorio, aveva colto a volo l'insinuazione e si era posta al telefono dello stabilimento centrale per afferrare al loro passaggio tutte le osservazioni comunicate. In meno di dieci giorni ne aveva raccolte più d'un centinaio e, senza perdere un minuto, aveva passato tre giorni e tre lunghe notti a ricominciare il calcolo su tutta la serie delle osservazioni. Il resultato fu che la conclusione dell'astronomo giapponese era inesatta, riguardo all'epoca del passaggio traverso il piano dell'eclittica, passaggio che era stato anticipato di cinque o sei giorni; ma per questo l'interesse del problema diveniva ancora maggiore, poichè la distanza minima fra la cometa e la terra era anche più piccola di quanto avesse creduto lo scienziato giapponese. Senza parlare per il momento della possibilità d'un incontro, si accennava alla speranza di trovare nell'enorme perturbazione che l'astro errante avrebbe subito, a causa della Terra e della Luna, un nuovo mezzo di determinare con straordinaria precisione la massa della Luna e quella della Terra, e forse indicazioni precise sulla repartizione delle densità nell'interno del nostro globo. La giovine calcolatrice insisteva ancora sui precedenti inviti a nuovi calcoli, mostrando quanto fosse importante avere osservazioni numerose e precise.

Alla vigilia della seduta aveva completamente spiegato l'orbita ad una commissione accademica.

Ma il centro di tutte le osservazioni sulla cometa era l'Osservatorio del Gaorisankar. Essendo posto sulla cima più alta del mondo, a 8000 metri d'altitudine, in mezzo alle nevi eterne, che i nuovi procedimenti della chimica elettrica avevano allontanate di molti chilometri tutt'intorno al santuario, trovandosi quasi sempre molte centinaia di metri sopra le nuvole più alte, sospeso in un'atmosfera pura e rarefatta, la visione naturale e telescopica che di lì si poteva avere era veramente centuplicata.

Vi si distinguevano ad occhio nudo le valli della Luna, i satelliti di Giove e le fasi di Venere. Già da nove o dieci generazioni, molte famiglie di astronomi dimoravano sul monte asiatico, lentamente e gradatamente acclimatate alla rarefazione dell'atmosfera. Le prime avevano dovuto in breve tempo soccombere; ma la scienza e l'industria erano poi riuscite a mitigare i rigori del freddo, immagazzinando i raggi del sole, e l'acclimatamento era avvenuto, a poco a poco, come nei tempi antichi a Quito e a Bogota, dove si vedevano, nel diciottesimo e diciannovesimo secolo, popolazioni felici vivere nell'abbondanza, e giovani donne danzare senza stanchezza nottate intiere, ad un'altitudine alla quale coloro che salivano sulla cima del Monte Bianco, in Europa, potevano appena far qualche passo, senza sentirsi mancare il respiro. A poco a poco una piccola colonia di astronomi aveva preso stanza sui fianchi dell'Imalaia, e l'Osservatorio aveva acquistato, per i suoi lavori e le sue scoperte, l'onore di essere giudicato il primo del mondo. Il suo principale strumento era il famoso equatoriale di 100 metri di fuoco, coll'aiuto del quale si era potuto finalmente giungere a decifrare i segnali geroglifici indirizzati inutilmente alla terra da molte migliaia di anni, dagli abitanti del pianeta Marte.

Mentre gli astronomi europei discutevano sull'orbita della nuova cometa e constatavano che quest'orbita avrebbe proprio dovuto passare per il nostro pianeta, e che i due corpi si sarebbero incontrati nello spazio, l'Osservatorio dell'Himalaia aveva inviato un nuovo fonogramma: «La cometa sta per divenire visibile ad occhio nudo. Sempre verdastra. Essa si dirige verso la Terra».

L'accordo assoluto dei calcoli astronomici, provenissero sia dall'Europa, sia dall'America o dall'Asia, non lasciava il minimo dubbio sulla loro precisione. I giornali quotidiani lanciarono nel pubblico la notizia allarmante, accompagnandola con commenti tragici e moltiplicate interviste, nelle quali mettevano in bocca agli scienziati i discorsi più strani.

Facevano a chi esagerava di più sui dati esatti del calcolo, aggravandoli di dissertazioni più o meno fantastiche. Da lungo tempo tutti i giornali del mondo, senza eccezione, erano divenuti semplici operazioni di commercio. La stampa, che altre volte aveva reso tanti servizi all'affrancarsi del pensiero umano, alla libertà e al progresso, era alla mercè dei governatori e dei grandi capitalisti, avvilita da compromessi finanziari d'ogni specie. Ogni giornale era una maniera di commercio; il solo problema era quello di vendere giornalmente il maggior numero possibile di fogli, e di far pagare le linee, pubblicando notizie più o meno svisate. «Far degli affari». Era tutto lì.

Inventavano notizie false, che smentivano poi tranquillamente l'indomani, minavano per ogni nonnulla la sicurezza dello Stato, svisavano la verità, mettevano in bocca agli scienziati discorsi che questi non avevano mai tenuto, calunniavano con sfrontatezza, disonoravano uomini e donne, seminavano scandali, mentivano spudoratamente, spiegavano i trucchi dei ladri e degli assassini e moltiplicavano i delitti, senz'aver l'aria di crederlo, davano la formula degli agenti esplosivi, recentemente inventati, mettevano in pericolo i loro stessi lettori e tradivano, nello stesso tempo, tutte le classi sociali, al solo fine di sovreccitare fino al parossismo la curiosità generale e di «vendere delle copie».

Non c'erano altro che affari e réclames.

Di scienze, arti, letteratura, filosofia, studi e ricerche i giornali non si preoccupavano affatto. Un attore di second'ordine, un'attrice leggera, un tenore, una cantante di caffè-concerto, un ginnasiarca, un corridore a piedi o a cavallo, un trampoliere, un ciclomane o un velocipedista acquatico, un malfattore della peggiore specie, sopra tutto un assassino, diveniva in un giorno più celebre del più illustre scienziato, o del più abile inventore. Si pubblicavano i ritratti dei più forti corridori, dei ladri, resi illustri, e degli assassini.

Ma l'interesse particolare del giornale dominava sempre, in tutti gli apprezzamenti, l'interesse generale e la cura del progresso reale dei cittadini. Per lungo tempo il pubblico era rimasto ingannato; tuttavia, all'epoca in cui siamo, aveva finito per arrendersi all'evidenza e non accordava più nessun credito a qualsiasi articolo di gazzetta, in modo che non esistevano più giornali propriamente detti, ma soltanto fogli di avvisi e di réclame ad uso del commercio. La prima notizia lanciata da tutte le pubblicazioni quotidiane che «una cometa arrivava a grande velocità e avrebbe incontrato la terra nella tale epoca, già fissata», la seconda notizia: – che l'astro vagabondo avrebbe potuto produrre una catastrofe universale, avvelenando l'atmosfera respirabile, – questa doppia predizione era stata letta da tutti con occhio distratto e con assoluta incredulità; non aveva prodotto maggiore effetto della notizia che era stata scoperta la fontana di Giovinezza nelle cantine del palazzo delle Fate a Montmartre (inalzato sulle rovine del Sacro Cuore) la quale notizia era stata lanciata in quello stesso tempo.

I letterati, i poeti, gli artisti ne avevano preso pretesto per celebrare in prosa e in versi, con disegni e quadri di ogni genere, i viaggi delle comete traverso le regioni celesti. Si vedeva in essi la cometa, che passava davanti allo sciame delle stelle spaventate, oppure che discendeva dall'alto dei cieli, precipitandosi e minacciando la Terra addormentata. Queste personificazioni simboliche tenevano viva la curiosità pubblica, senza accrescere il primo spavento; si cominciava quasi ad abituarsi all'idea d'un incontro, senz'averne troppa paura. La marea delle impressioni popolari oscilla come il barometro.

Del resto, gli stessi astronomi da principio non s'erano interessati dell'incontro dal punto di vista dei suoi effetti sulla sorte dell'umanità, e le riviste astronomiche speciali (le sole che avessero conservato qualche autorità) non ne avevano ancora parlato che sotto forma di calcoli da verificare. Gli scienziati avevano trattato il problema come matematica pura, e lo riguardavano semplicemente come un caso interessante di meccanica celeste; durante le interviste che avevano subite, si erano contentati di rispondere che l'urto era possibile, magari anche probabile, ma senza interesse per il pubblico.

Improvvisamente, un nuovo fonogramma, lanciato questa volta dal Monte-Hamilton, in California, venne a colpire i chimici ed i fisiologi.

«Le osservazioni spettroscopiche stabiliscono che la cometa è una massa assai densa, composta di molti gaz, fra i quali domina l'ossido di carbonio».

L'affare si complicava: l'incontro della cometa con la Terra era ormai certo; e se gli astronomi non se ne preoccupavano troppo, abituati com'erano da secoli a considerare questi contatti celesti come inoffensivi, se i primi, tra loro, avevan finito col mettere sdegnosamente alla porta gl'innumerevoli intervistatori che ininterrottamente venivano a importunarli, dichiarando loro che questa predizione non interessava il volgo, ma era un puro fatto astronomico che non li riguardava, i medici avevano cominciato a commuoversi e discutevano con vivacità sulle possibilità di asfissia, o di avvelenamento. Meno indifferenti all'opinione pubblica, non avevano affatto congedati i giornalisti: tutt'altro! e in pochi giorni la questione aveva sensibilmente cambiato faccia. Da astronomica era divenuta fisiologica: e i nomi di tutti i medici celebri o famosi spiccavano in cima alla prima pagina di tutti i giornali quotidiani: i loro ritratti occupavano le riviste illustrate e una rubrica speciale annunciava, un po' dappertutto:

«Consultazioni sulla cometa».

Già la varietà, la diversità, l'antagonismo degli apprezzamenti avevano creato molti campi ostili che scambievolmente si scagliavano bizzarre ingiurie e trattavano tutti i medici di «ciarlatani avidi di réclame».

Frattanto il Direttore dell'Osservatorio di Parigi, che aveva a cuore l'interesse della scienza, si era commosso per un simile chiasso, nel quale la verità astronomica era stata più d'una volta stranamente svisata. Era un vegliardo venerando, incanutito nello studiare i grandi problemi della costituzione dell'universo; la sua voce era ascoltata da tutti ed egli si era deciso a mandare ai giornali un avviso, nel quale dichiarava che tutte le ipotesi erano premature, finchè non fossero note le discussioni tecniche autorizzate, che dovevano aver luogo nell'Istituto.

Abbiamo detto, mi pare, che l'Osservatorio di Parigi, sempre alla testa del movimento scientifico per i lavori dei suoi membri, era divenuto, più che altro, a causa dei trasformati metodi d'osservazione, una specie di santuario di studi teorici, da una parte, e dall'altra una centrale telefonica, a cui facevan capo gli osservatorî lontani dalle grandi città, posti sulle cime favorite da una perfetta trasparenza atmosferica. Era un asilo di pace, dove regnava la perfetta concordia. Gli astronomi consacravano disinteressatamente tutta la vita al solo progresso della scienza, si amavano scambievolmente, senza provar mai le punture dell'invidia, e ognuno dimenticava i meriti proprî, non pensando che a mettere in evidenza quelli dei colleghi. Il direttore dava l'esempio e, quando parlava, lo faceva a nome di tutti.

Egli pubblicò una dissertazione tecnica e la sua voce fu ascoltata… . un istante. Ma pareva che la questione astronomica fosse già fuori di causa. Nessuno contestava e discuteva l'incontro della cometa con la Terra: era un fatto acquisito dalla certezza matematica del calcolo. Quello che preoccupava era piuttosto la costituzione chimica della cometa: se al suo passaggio presso la terra avesse assorbito l'ossigeno atmosferico, si sarebbe avuta la morte immediata per asfissia; se l'azoto si fosse combinato col gas della cometa, si sarebbe avuta ugualmente la morte, ma preceduta da un immenso delirio e da una specie di gioia universale, poichè una sovreccitazione folle di tutti i sensi sarebbe stata la conseguenza dello sparire dell'azoto e dell'aumentare corrispettivo dell'ossigeno nella funzione respiratoria dei polmoni.

L'analisi spettrale segnalava sopratutto l'ossido di carbonio nella costituzione chimica della cometa. Ciò di cui le riviste scientifiche discutevano principalmente era se la mescolanza di questo gas deleterio con l'atmosfera respirabile avrebbe avvelenato l'intera popolazione terrestre, uomini ed animali, come affermava il presidente dell'Accademia di medicina.

L'ossido di carbonio! Non si parlava più d'altro. L'analisi spettrale non poteva essersi ingannata. I suoi metodi erano troppo sicuri, i suoi procedimenti troppo precisi. Tutti sapevano che la minima mescolanza di questo gas con l'aria che si respira produce rapidamente la morte. Ora un nuovo messaggio telefonico dell'Osservatorio del Gaorisankar aveva confermato quello del Monte Hamilton, aggravandone la portata. Questo messaggio diceva:

«La Terra si troverà intieramente piantata nella testa della cometa, che appare già trenta volte più larga del diametro intero del globo terrestre, e che continua ad ingrandirsi di giorno in giorno».

Trenta volte il diametro del globo terrestre! Quando la cometa fosse passata tra la Terra e la Luna, le avrebbe dunque toccate tutte e due, giacchè un ponte, formato da trenta terre, basterebbe per riunire il nostro mondo alla Luna.

Durante i tre mesi, dei quali riassumiamo ora la storia, la cometa era uscita dalle profondità telescopiche ed era divenuta visibile ad occhio nudo: era in vista della Terra e come una minaccia celeste si librava gigantesca nel cielo, tutte le notti, davanti all'armata delle stelle. Ogni notte ingrandiva: era il Terrore stesso sospeso su tutte le teste e, come una spada formidabile, si avanzava lentamente, gradatamente, inesorabilmente. Si fece un ultimo tentativo, non per deviare la cometa dalla sua rotta (era un'idea messa fuori dagli utopisti che non dubitano mai di nulla e che avevano osato immaginare che un formidabile vento elettrico potesse esser prodotto da batterie disposte sulla parte del globo che la cometa doveva urtare) ma per esaminar di nuovo il grande problema sotto tutti gli aspetti e forse per rassicurare gli animi, riportarvi la speranza, scoprendo qualche vizio di forma nelle sentenze pronunciate, qualche causa dimenticata nei calcoli, o nelle osservazioni: l'urto non sarebbe forse stato così disastroso come i pessimisti pretendevano.

Una discussione generale in contradittorio doveva aver luogo quel lunedì all'istituto, quattro giorni avanti a quello previsto per l'incontro, cioè il venerdì 13 luglio. Il più celebre astronomo francese, allora Direttore dell'Osservatorio di Parigi, il Presidente dell'Accademia di medicina, fisiologo e chimico insigne, il Presidente della Società astronomica di Francia, abile matematico, ed anche altri oratori, fra i quali una donna illustre per le sue scoperte di fisica, dovevano, a turno, prendere la parola.

L'ultima sentenza non era detta.

Entriamo sotto la vecchia cupola del ventesimo secolo, per assistere alla discussione.

Ma, avanti d'entrare, esaminiamo anche noi la famosa Cometa, che in questo momento gravava su tutti i pensieri.

Capitolo 2 La cometa

Vapores qui ex caudis Cometarum oriuntur incidere possunt in atmospheras planetarum, et ibi condensari et converti in aquam, et sales, et sulphura, et limum, et lutum, et lapides, et substantias alias terrestres migrare.

Newton, Principia, III, 671.

La strana visitatrice era discesa lentamente dalle profondità dell'infinito. Non era apparsa bruscamente, tutta a un tratto, ciò che più di una volta è accaduto per le grandi comete, sia che arrivino subito in vista della Terra, dopo il loro passaggio al perifelio, sia che una lunga serie di notti nuvolose o illuminate dalla Luna abbia impedito l'osservazione del cielo ai ricercatori di comete. Il fluttuante vapore sidereo era rimasto da principio negli spazî telescopici, osservato solamente dagli astronomi. Nei primi giorni che seguirono la sua scoperta, non fu accessibile che ai potenti equatoriali degli osservatorî. Ma il pubblico colto non aveva tardato a cercarla da sè. Ogni casa moderna terminava con una terrazza sovrastante tutti i piani, destinata alle imbarcazioni aeree: molte erano ornate da cupole girevoli. Non c'era famiglia agiata che non avesse un canocchiale a sua disposizione e nessun appartamento sembrava completo, senza una biblioteca ben provvista di ogni libro scientifico. Nel venticinquesimo secolo, gli abitanti della Terra cominciavano a pensare.

La cometa era stata osservata da tutti, si può dire, dal momento in cui era divenuta accessibile agli strumenti di minore potenza. Quanto alle classi operaie, per cui le comodità sono sempre contate, i cannocchiali posti sulle pubbliche piazze erano stati assaliti da una folla impaziente fin dalla prima sera in cui la cometa si era vista; e tutte le sere gli astronomi da piazza avevano fatto incassi fantastici, senza precedenti. Del resto, anche un gran numero d'operai aveva il cannocchiale in casa, specialmente in provincia; e per la giustizia e la verità dobbiamo riconoscere che il primo, in Francia, che aveva saputo scoprir la cometa (all'infuori, naturalmente, degli osservatorî patentati) non era stato nè un uomo di mondo, nè un accademico, ma un modesto operaio, un sarto di un sobborgo di Soissons, che passava la più gran parte delle notti sotto il cielo sereno e che, colle economie faticosamente risparmiate, era riuscito a comprarsi un piccolo cannocchiale; con questo non si saziava di studiare le curiosità del cielo. Fatto degno d'attenzione, fino al ventiquattresimo secolo quasi tutti gli abitanti della Terra erano vissuti senza sapere dov'erano, senz'aver neppure la curiosità di domandarlo, come ciechi unicamente preoccupati del loro appetito: ma da circa cento anni la razza umana si era messa ad osservar l'universo e a ragionare.

Se ci si vuol render conto del cammino percorso dalla cometa nello spazio, basta esaminare con un po' d'attenzione il disegno qui pubblicato (vedi figura a pagina seguente). Esso rappresenta il piano dell'orbita della cometa e la sua intersezione con quello dell'orbita terrestre: poichè la cometa discende dall'infinito, si dirige obliquamente verso la Terra e continua il suo corso avvicinandosi al Sole, che non l'arresta e non l'attrae nel suo passaggio al perifelio.

 

 

Non si è tenuto conto della perturbazione causata dalla forza di attrazione della Terra: questa influenza avrebbe per effetto di ricondurre la cometa verso l'orbita terrestre dopo una rivoluzione intorno al Sole, e di trasformare l'orbita parabolica in ellissi.

Tutte le comete che gravitano intorno al Sole descrivono orbite analoghe, più o meno allungate, ellissi di cui l'astro radioso occupa uno dei focolari: queste sono molte.

Il disegno che si vede qui appresso dà un'idea delle loro intersezioni coll'orbita della Terra intorno al Sole e colle altre orbite planetarie. Esaminando queste intersezioni s'indovina che un incontro non avrebbe niente d'impossibile, nè di anormale.

La cometa era arrivata in vista della Terra. In una notte di luna nuova, con un cielo meravigliosamente puro, qualche occhio particolarmente acuto era arrivato a distinguerla ad occhio nudo, non lungi dallo Zenit, sul margine della Via Lattea a sud della stella omicron di Andromeda, come una pallida nebulosità, come un leggerissimo sbuffo di fumo, molto piccola, appena allungata in una direzione opposta al Sole, come una specie di coda rudimentale, formata da gaz. Ed è così che si presentava anche al telescopio, dacchè era stata scoperta. Nessuno avrebbe potuto sospettare, dal suo aspetto inoffensivo, la parte così tragica che questo nuovo astro avrebbe rappresentato nella storia dell'umanità; il solo calcolo indicava, allora, il suo avanzarsi verso la Terra. Ma l'astro misterioso avanzava rapidamente. Il giorno dipoi già la metà dei ricercatori riuscivano a scorgerla e due giorni dopo, soltanto quelli di vista corta, con binocoli insufficienti, aspettavano ancora; in meno d'una settimana tutti gli sguardi l'avevano scoperta; su tutte le pubbliche piazze, in tutti i villaggi, si vedevano gruppi di gente che cercava la cometa, o la mostrava agli altri.

 

 

Ess

Come le comete possono incontrare la Terra e gli altri pianeti.


a ingrandiva di giorno in giorno; gli strumenti cominciavano a fare scorgere un nucleo ben distinto, assai luminoso, che era oggetto di dissertazioni appassionate. Poi la coda si divise a poco a poco in raggi divergenti dal nucleo e prese insensibilmente la forma d'un ventaglio. La commozione invadeva già tutti gli animi, quando, dopo il primo quarto della luna, e durante i giorni di luna piena, sembrò che la cometa restasse stazionaria e che, anzi, il suo splendore diminuisse. Poichè si era creduto di vederla ingrandire rapidamente, si sperò che qualche errore di calcolo fosse stato commesso e si ebbe un periodo di calma e di tranquillità. Dopo la luna piena, il barometro abbassò tutto a un tratto notevolmente: il centro di depressione di una forte tempesta veniva dall'Atlantico e passava al nord delle isole Britanniche; per dodici giorni il cielo restò completamente coperto su quasi tutta l'Europa.

Il sole brillò di nuovo nell'atmosfera purificata, le nuvole si dissiparono, l'azzurro del cielo si mostrò puro e senza nebbie e quel giorno si aspettò con emozione il tramonto del sole; tanto più che molte spedizioni aeree erano riuscite a traversare gli strati delle nuvole e gli aeronauti assicuravano che la cometa si era notevolmente sviluppata. I messaggi telefonici mandati dalle montagne d'Asia e d'America annunziavano, d'altra parte, il suo arrivo imminente; ma, oh meraviglia!, quando, caduta la notte, tutti gli sguardi erano alzati al cielo per cercarvi l'astro fiammeggiante, non ebbero dinanzi una cometa, una cometa classica, come quelle che si vedono di solito: ma videro un'aurora boreale, di un nuovo genere, una specie di prodigioso ventaglio celeste, a sette rami, lanciante sette raggi verdastri, che parevano uscire da un fuoco nascosto sotto l'orizzonte.

Tutti erano certi che questa fantastica aurora boreale era la cometa, tanto più che questa non era visibile in alcun punto del cielo stellato. L'apparizione era molto diversa – è vero – dalle forme conosciute delle comete e l'aspetto raggiante del misterioso visitatore era quello che di più inaspettato fosse comparso mai al mondo; ma queste formazioni gazose sono così bizzarre, così capricciose, così svariate, che tutto è possibile. E poi non era davvero la prima volta che una cometa offriva un tale aspetto; gli annali astronomici ricordavano, fra le altre, una immensa cometa a sei code, osservata nel 1744, che era stata a quell'epoca soggetto di numerose dissertazioni. Un disegno molto pittoresco, fatto de visu dall'astronomo Chéseaux, a Losanna (fig. 1) l'aveva in altri tempi resa popolare. La cometa del 1861, colla sua coda a ventaglio, offriva un altro esempio di quel genere di visitatori celesti e si ricordava anche che il 30 giugno di quell'anno vi era stato un incontro, molto innocuo, del resto, fra la Terra e l'estremità della coda; ma quando anche non se ne fossero mai viste prima, bisognava bene arrendersi all'evidenza.

Frattanto le discussioni continuavano ed era sorta una vera gara astronomica fra le riviste scientifiche del mondo intero, i soli giornali che, come abbiamo visto, avessero conservato qualche credito nell'epidemia mercantile che da molto tempo aveva invaso l'umanità. Il punto capitale dacchè si sapeva con certezza che l'astro si avanzava direttamente verso la Terra, era la distanza a cui si trovava ogni giorno, questione corrispondente a quella della sua velocità. La giovane laureata dell'Istituto, di recente nominata Direttrice del Gabinetto dei calcoli nell'Osservatorio, non lasciava passare un giorno, senza mandare una nota al Giornale ufficiale degli Stati Uniti d'Europa.

Una relazione matematica molto semplice collega la rapidità di ogni cometa alla sua distanza dal Sole, e viceversa; conoscendo l'una si può trovar l'altra, in un momento. In sostanza, la rapidità di una cometa è semplicemente uguale alla velocità di un pianeta, moltiplicata per la radice quadrata di 2. Ora, la velocità di un pianeta, a qualunque distanza esso sia, è regolata dalla terza legge di Keplero, in virtù della quale i quadrati dei tempi delle rivoluzioni stanno fra loro come i cubi delle distanze. Si vede che non vi è nulla di più semplice.

 

 

Fig. 1. – Cometa disegnata a Losanna
dall'astronomo Chéseaux, nel 1774.

 

 

Fig. 2. – La cometa del 1811.

 

 

Fig. 3. – Testa della cometa del 1861.

 

Così, per esempio, alla distanza di Giove, questo magnifico pianeta gravita intorno al Sole con una rapidità di 13.000 metri al secondo. Una cometa che si trova a questa distanza, fila dunque colla velocità che abbiamo detto, moltiplicata per la radice quadrata di 2, vale a dire per il numero 1.4142. Questa velocità è, per conseguenza, di 18.380 metri al secondo.

Il pianeta Marte gira intorno al Sole con una velocità di 24.000 metri al secondo. A questa distanza la velocità della cometa è di 34.000 metri.

La velocità media della Terra sulla sua orbita è di 29.460 metri al secondo, un po' minore in giugno, un po' maggiore in dicembre. In vicinanza della Terra quella della cometa è, dunque, di 41.660 metri, indipendentemente dall'acceleramento che l'attrazione della Terra potrebbe produrle. Ecco ciò che la laureata dell'Istituto ebbe cura di ricordare al pubblico, iniziato soltanto in maniera elementare alla teoria dei movimenti celesti.

Quando l'astro minaccioso arrivò alla distanza di Marte, le paure aumentarono e non furon più paure vaghe, ma presero un carattere definito, fondato su di un apprezzamento esatto e facile di questa velocità: 34.000 metri al secondo sono 2040 chilometri al minuto, 122.400 chilometri all'ora!

Poichè la distanza dell'orbita di Marte da quella della Terra è soltanto di 76 milioni di chilometri, al calcolo di 122.400 chilometri all'ora, questa distanza sarebbe superata in seicento ventuna ora, o in ventisei giorni circa. Ma avvicinandosi al Sole, la cometa va sempre più velocemente, poichè alla distanza della Terra la sua rapidità è di 41660 metri al secondo. In ragione di quest'aumento di velocità, la distanza fra le due orbite sarebbe superata in cinquecentocinquantotto ore, o in ventitrè giorni e sei ore.

Ma non dovendo la Terra, al momento dell'incontro, trovarsi proprio nel punto d'intersezione fra la propria orbita e una linea imaginaria dal Sole alla cometa – poichè la cometa non si precipitava sul Sole – l'incontro non doveva verificarsi che circa una settimana più tardi, ossia venerdì, 13 luglio, verso mezzanotte.

Non abbiamo bisogno d'aggiungere che in una circostanza simile, tutti gli abituali preparativi della festa nazionale del 14 luglio erano stati dimenticati. Festa nazionale! Non ci si pensava neppure. Il 14 luglio non avrebbe piuttosto segnato il lutto universale degli uomini e delle cose? Erano già più di cinque secoli, del resto, che quest'anniversario d'una data famosa era – con qualche intermittenza è vero, – celebrato dai Francesi: presso gli stessi romani le commemorazioni festive dei «circenses» erano durate assai meno. Si sentiva dire da ogni parte che il 14 luglio aveva vissuto assai. Era già morto quindici volte, ma non doveva più risuscitare.

Eravamo soltanto al lunedì 9 luglio. Da cinque giorni il cielo si manteneva bellissimo e tutte le notti il ventaglio della cometa si librava nell'immensità celeste con la sua testa, e col suo nucleo, ben visibile, picchiettato di punti luminosi, che potevano rappresentare corpi solidi di molti chilometri di diametro e che, secondo qualche calcolatore, dovevano per i primi precipitarsi sopra la Terra: giacchè la coda della cometa era sempre opposta al Sole e, nel caso attuale, dietro al movimento dell'astro e sensibilmente obliqua. L'astro fiammeggiava nella costellazione dei Pesci: l'osservazione della vigilia, 8 luglio, dava come posizione precisa: ascensione destra = 23h 10m 32s; declinazione boreale = 7° 36' 4". La coda traversava tutto il quadrato di Pegaso. La cometa si alzava a 9h 49m e tutta la notte si librava nel cielo.

Durante i giorni di tranquillità di cui ora parleremo, l'opinione generale si era come ricreduta. Un astronomo, fatta una serie di calcoli retrospettivi, aveva concluso che già molte volte la Terra aveva incontrato qualche cometa, e che ogni volta l'incontro si era risolto in una inoffensiva pioggia di stelle filanti. Ma uno dei suoi colleghi aveva risposto che la cometa attuale era lungi dal potersi paragonare a uno sciame di meteore, che era gazosa, col nucleo composto di concrezioni solide: e aveva richiamato a questo proposito le osservazioni fatte su di una famosa cometa storica, quella del 1811.